In the mood for love – Fa yeung nin wa

La storia di un amore incompiuto, irrealizzato. Sullo sfondo una Hong Kong degli anni ’60. Un uomo e una donna traditi dai rispettivi coniugi provano ad esorcizzare insieme il dolore di una ferita comune e approdano ad un sentimento che giudicano sbagliato, da sopprimere.
In the mood for love è un film d’autore.  Autorialità che si ravvisa nella grandiosità formale che Wong Kar Way (Shanghai, 17 luglio 1958),  regista e sceneggiatore cinese che lavora a Hong Kong ed è definito “il più occidentale registi asiatici”, riesce ad imprimere alla pellicola e che gli ha garantito una nomination per la Palma d’oro a Cannes nel 2000.

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Nell’analisi di questo film i contenuti non risultano molto importanti;  la maggior parte dei temi vengono trattati in modo superficiale,  tuttavia meritano un po’ di attenzione per la comprensione della pellicola nel suo insieme.

I rapporti coniugali

Il tema che per primo si incontra nella visione di In the mood for love è quello dei rapporti coniugali e dell’adulterio, ma si parla anche di amicizia, di vizio del gioco, di pettegolezzi e si accenna alla situazione politica (anche grazie all’uso di immagini di repertorio della visita del generale De Grulle in Cambogia, emblema della politica coloniale che stava vedendo il suo declino) e al ruolo della tecnologia che negli anni ’60 stava diventando pervasiva e invisibile (si notano i telefoni che squillano in continuazione). Pertanto il sostrato del film è da individuarsi nella Rivoluzione culturale che interessò Hong Kong dall’inizio degli anni ’60: è questa che fa incontrare e allontanare i personaggi.

Le innovazioni tecnologiche, quali la macchina elettrica per cuocere il riso e i fast food,  rappresentano il motore che ha spinto il regista a ideare la pellicola: “In the mood for love”, infatti, è nato dalla volontà di produrre una serie di cortometraggi circa i cambiamenti culturali in atto ad Hong Kong e da cui Wong Kar-Wai stesso è stato investito.

Rilevante è il tema dei ricordi, suggerito dal titolo originale ( Fa yeung nin wa – I nostri gloriosi anni sono passati come un fiore) e sviluppato a partire dal racconto del protagonista maschile di una leggenda : “Nel passato, se uno aveva un segreto e non voleva che nessuno lo sapesse assolutamente, lo sai che faceva? Andava in montagna e cercava un albero, scavava un buco in un tronco, vi bisbigliava il suo segreto e richiudeva il buco col fango, così il segreto non sarebbe stato scoperto mai da nessuno”.  Questa frase, che ritorna più volte in “2046”, una sorte di sequel introspettivo di “In the mood for love”, potrebbe rappresentare il lavoro che Wong Kar Way ha fatto con il suo film: la pellicola stessa custodisce il segreto esistente tra i due protagonisti, segreto che lo spettatore non lo scoprirà mai davvero se non con un’interpretazione personale del finale aperto.  E il finale aperto trasmette la posizione che il regista vuole che lo spettatore assuma nel guardare il suo film: Wong Kar Way cerca uno spettatore che sia attento ai dettagli così come lo sono i protagonisti, che ricostruisca la vicenda insieme ai personaggi partendo da alcuni frammenti; infatti il narratore non è onnisciente, scopre la storia con il procedere delle azioni e dei ragionamenti dei protagonisti.

Lo spettatore non saprà mai come sono andate effettivamente le cose, neppure nel film “2046”, segno di quella crisi del visibile che si dispiega in questo film e che porta al sublime gnoseologico prospettato da Canova in “L’alieno e il pipistrello” (Bompiani, 2000).

Il tempo

Ma il tema fondamentale che attraversa l’intero film è il tema del tempo, che appare frammentato e presentificato perché l’intera pellicola, se ne avrà la conferma solo alla fine, rappresenta un ricordo ormai lontano nel tempo richiamato alla mente attraverso inquadrature appannate,  vicende appena spiate attraverso tende e fumo che agiscono da filtro:

“Quando ripenso a quegli anni lontani 
è come se li vedessi dietro un vetro impolverato.
Il passato è qualcosa che puoi vedere ma non puoi toccare.
É tutto ciò che vedi è sfocato,
indistinto.”

L’importanza del tempo è sancita da un’inquadratura ricorrente che riporta un orologio appeso appena fuori dall’ufficio in cui lavora la signora Chan, un simbolo del tempo che passa inesorabile mentre la condizione interiore dei personaggi non cambia.

Lo spazio di In the mood for love

Alla presentificazione del tempo, inoltre, si accompagna  una frammentazione dello spazio: le ambientazioni sono poche e anguste: l’ufficio, la casa, la stanza di lui e la stanza 2046 del residence, una strada tra un muro e una inferriata attraverso la quale la telecamera spia i dialoghi tra i due personaggi, un ristorante, e solo nel finale ci si sposta verso l’esterno con le inquadrature della Cambogia.

I movimenti di camera sono sempre lenti, da destra a sinistra o dal basso verso l’alto o viceversa. Sembra che la telecamera scorra davanti a una fotografia. Infatti le tante inquadrature fisse vengono bilanciate da alcune carrellate.

La fotografia, a cura di Christopher Doyle e Mark Lee Ping-bin, è in grado di cogliere tutte le sfumature di colore prodotte dall’acqua su una superficie, dal fumo in un ambiente chiuso e dai veli e dalle numerose tende, e possiede una forza evocatrice della ambientazioni che non vengono mai mostrate interamente ma solo attraverso scorci di spazi angusti. Solo nel finale il regista equilibra la rappresentazione inserendo campi lunghi di un tempio in Cambogia, come a significare che il protagonista maschile, affidando il suo segreto al tempio, si senta finalmente libero. Il dramma che ha vissuto, insieme alla sua compagna di sventura, si dissolve e non resta che un ricordo da custodire segretamente o affidare ad un fedele ascoltatore.

I colori ora spenti, ora saturati, riflettono lo stato d’animo dei personaggi che si sentono oppressi da un peso, quello di un matrimonio distrutto, che non riescono a sopportare e del quale non hanno il coraggio di liberarsi.

Alcune inquadrature ritraggono solo il busto dei personaggi di profilo, forse per dare maggiore enfasi al dialogo che si sta svolgendo tra i due.

E spesso i loro dialoghi vengono spiati dalla camera che scorre attraverso le sbarre di un’inferriata, come a rappresentare i loro sentimenti reciproci ingabbiati, altre volte attraverso delle tende, che velano con pudore la loro interiorità e contribuiscono a creare l’idea che si stia assistendo ad un ricordo e non alla realtà.

È già evidente come la vera protagonista del film sia la messinscena stessa e il rigore formale che la caratterizza.

La pellicola si presenta ricca di significati nascosti dietro minuscoli simboli, tipico segno della cultura orientale dei manga. In “In the mood for love” la grande ricerca formale operata dal regista emerge dalla sospensione che questi riesce a creare nel rappresentare il non visibile, cioè i sentimenti provati dai personaggi sui quali si articola l’intera vicenda, sentimenti che vengono solo suggeriti da ciò che si può dedurre esservi fuori dall’inquadratura.

Il regista stesso, attraverso alcune battute e mostrando solo alcuni dettagli della vicenda, trasmette allo spettatore un suggerimento sulla possibile chiave di lettura del film: bisogna andare oltre la visione, l’esperienza plurisensoriale darà significato al film, bisogna sforzarsi di entrare in empatia con i personaggi, di sentire un contatto con loro, da loro farsi trascinare per vivere un’esperienza completa.

Il suono

Infatti In the mood for love è un film in cui si vede con le orecchie: spesso la storia deve essere ricostruita dalle voci fuori campo dei coniugi adulteri o dei protagonisti stessi e spesso il regista depista lo spettatore che non riesce a comprendere se questi dialoghi siano avvenuti davvero o si siano dispiegati solo nella mente dei personaggi.

La musica combacia perfettamente con la vicenda e contribuisce a rendere evidente il mood dei protagonisti.

L’uso della musica classica, che crea un’atmosfera straziante e angosciata, si accompagna all’uso di musica latino-americana, che suggerisce un rapporto amoroso mai del tutto esplicito e riflette quanto prima si diceva circa “l’occidentalizzazione del regista”.

I motivi e le immagini ossessivamente riproposti non disturbano mai lo spettatore, fanno parte della sensazione di ineluttabilità e predestinazione che fa da sfondo a tutta la storia.

L’interpretazione degli attori è caratterizzata da un’eleganza composta a tal punto da sembrare irreale ma che allo stesso tempo affascina e richiama quella dei film anni ’50.

Tony Leung Chiu Wai, il protagonista maschile che per l’interpretazione ha vinto a Cannes il premio come migliore attore, appare molto espressivo nel viso mentre Maggie Cheung risulta più rigida e austera.

Per quanto riguarda il montaggio, si segnala un uso superbo delle dissolvenze e delle dissolvenze incrociate che creano una sovrapposizione di elementi e significati dall’effetto stordente.

Il legame che unisce i due protagonisti è reso con l’uso del montaggio alternato.

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Il ritmo del racconto è calibrato, anche attraverso l’uso delle ellissi, alla sospensione temporale che il regista si propone di creare; pertanto il film risulta piacevole e coinvolgente.

Sebbene la struttura  narrativa appaia lineare, nel ritorno ad Hong Konk si legge una certa ciclicità traducibile in un aspetto della storia del signor Chow e della signora Chan: sono vicini ma non si incontrano mai veramente perché non vogliono, hanno paura dei propri sentimenti.

Il regista ricorre ad alcune didascalie per segnalare le ellissi che coinvolgono un tempo molto esteso. La vicenda, infatti si dispiega lungo quattro anni ma vengono mostrati solo i nessi logici funzionali alla comprensione sommaria della storia che dovrà essere costruita dal singolo spettatore.

L’uso dell’ellissi, tuttavia, serve anche a disorientare lo spettatore e a frammentare il tempo. In ciò, e nell’ossessiva ripetizione di alcune situazioni e di un motivo musicale che riempie le ellissi, questo film incarna i connotati del cinema post-moderno.

La sequenza ambientata a Singapore sintetizza l’intero film perché presenta tutti gli aspetti analizzati in questa sede:

  • tema della frammentazione del tempo effettuata con un flashback ambiguo e attraverso l’uso ermetico delle ellissi; tutto ciò provoca un certo disorientamento nello spettatore e dimostra con quale maestria il regista giochi con il tempo;
  • metafora sul film che si configura solo come un buco in un albero che nasconde il segreto dei protagonisti;
  • grande eleganza formale.

Il film, quindi, presenta alcune delle caratteristiche tipiche del postmoderno alle quali si aggiungono la contraddittorietà e la logica dell’et…et nel rappresentare il non visibile, i sentimenti, attraverso l’uso di immagini fotografiche molto suggestive. Wong Kar- Wai non rinuncia alla vista e allo stesso tempo la visione è solo un mezzo per depistare lo spettatore e per evidenziare il protagonismo della messinscena stessa, perché la vicenda deve essere seguita con gli altri sensi, sopratutto con l’udito.

Si assiste alla perdita della centralità dello sguardo che non è più funzionale alla conoscenza.

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Angela Belcastro

Angela Belcastro

Founder a Soapmotion.com
Digital Marketing Specialist per lavoro e appassionata di cinema, cucina, moda, prodotti di bellezza, nuove tecnologie, viaggi e e-commerce. Ho fondato Soapmotion.com nel 2010 per raccontare le mie passioni e condividere quelle piccole "scoperte" che rendono straordinario il mio quotidiano. Il mio motto? "La vita è una bolla di sapone e io ci pattino sopra".