Invictus – L’Invincibile

Dopo un’assenza prolungata torno proponendovi un film da recuperare.

Una storia di simboli, di condivisione, di costruzione di un’identità nuova per contemperare la dualità presente in un territorio così lontano geograficamente ma a tratti molto vicino alla nostra realtà contemporanea.

Tratto dal libro “Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game that Made a Nation” di John Carlin, Invictus ci racconta la riconciliazione di due popoli, gli afrikaner e la popolazione autoctona del Sud Africa, compiuta attraverso tanti piccoli passi e l’uso sapiente della leva dell’ispirazione.

L’ispirazione pervade le storie di tre leader, Nelson Mandela (Morgan Freeman), François Pienaar (Matt Damon), Jason Tshabalala (Tony Kgoroge), e tre riconciliazioni-simbolo nelle quali un popolo di 42 milioni di persone così eterogenee potesse riconoscersi.

Non più un dominato e un dominatore ma la collaborazione sine qua non potrebbe esserci stato civile e pace. La costante ricerca di elementi simbolo di un’ unificazione non imposta, ma costruita insieme. Non si tratta solo, banalmente, di razzismo: il problema che Mandela ha intelligentemente affrontato era un problema di identità. Il Presidente ha potuto contare sui simboli più cari per una delle due parti e dare la possibilità all’altra di sentirsi partecipe: “Una squadra, una Nazione”.

Il rugby, il gioco di squadra come metafora di ciò che un capitano talentuoso è riuscito a conquistare. Pienaar è l’alter ego bianco di Mandela, un leader e un uomo con le sue debolezze. Ma la sua forza vince su tutto, il suo ottimismo spazza via tutto.

Il dualismo iniziale ed evidente, attribuito non solo al colore della pelle ma alle condizioni di vita che da questo, purtroppo, scaturivano, si stempera nelle scene finali, nella gioia di un popolo finalmente misto e che non teme più di stringersi in un abbraccio collettivo. Una gioia che pervade lo spettatore per qualcosa che va finalmente nel verso giusto. Una storia impossibile che diventa reale.

Obiettivo centrato, da Mandela e da Clint Eastwood, sempre attento ai bisogni dei più deboli che non sono mai una minoranza.

Eastwood, con una regia lineare, ripercorrendo, con qualche ellisse ma senza scompensi, 3 anni di storia del
Sud Africa risulta credibile nel racconto di una storia reale e problematica ma anche di successo, un esempio per la nostra Nazione e per il nuovo popolo che deve trovare una via migliore per vivere insieme.
L’uso di qualche escamotage crea suspance e preoccupazione per l’incolumità di un leader giusto e molto amato che con il suo ottimismo è riuscito a spazzare via il rancore, a risollevare se stesso e una Nazione dopo un periodo buio, quello dell’apartheid, durato più di 40 anni, ponendo le basi per una ricostruzione ragionata.

Matt Damon è sempre più versatile nell’interpretare i più svariati ruoli con dedizione e bravura e il suo corpo non sembra risentire dei cambiamenti di forma. Morgan Freeman appare fin troppo somigliante a Nelson Mandela.
Gli altri interpreti risultano adeguati ai ruoili loro assegnati e le guardie del corpo riflettono la scarsa professionalità tipica di uno stato nascente.

Una fotografia che non enfatizza a tutti i costi le bellezze da cartolina e si sofferma appena su una povertà
mai banalizzata e riesce, così, a smuovere ancora qualche coscienza tra le nostre che sono sempre più abituate a scenari apocalittici. Si limita a lanciare solo degli spunti allo spettatore che si commuove. La solarità di Mandela è resa con una luminosità reale, quella dei colori del Sud Africa.

Il ritmo del film è coinvolgente, anche grazie all’ uso, chiaramente molto studiato, delle musiche originali a cura di Kyle Eastwood e Michael Stevens (già collaboratori di Clint Eastwood in “Gran Torino” e “Million Dollar Baby” come sceneggiatori) e dei rumori di scena che catapultano lo spettatore nel campo di rugby e nelle scene salienti.

La colonna sonora è un inno costante, una spinta verso qualcosa di grande e la fotografia rende giustizia ai colori del Sud Africa e alla solarità del sogno di Mandela. Anche le interpretazioni di Matt Damon e Morgan Freeman  risultano convincenti.

Qualche cosa che stona, tuttavia, si ravvisa nella scena, un po’ troppo plateale e a tratti surreale, in cui un’aereo si avvicina troppo pericolosamente allo stadio prima dell’inizio della finale di rugby: un altro escamotage per creare tensione facendo leva sulla paura, tutta contemporanea, dagli attacchi terroristici  o solo un modo per azzardare nell’utilizzo del product placement?
C’è da riflettere se questo sia un errore veniale del regista.
Tuttavia  questa forma di finanziamento appare usata in modo intelligente nelle numerose scene corali che costellano il film senza intaccare l’autorialità della pellicola.

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Angela Belcastro

Angela Belcastro

Founder a Soapmotion.com
Digital Marketing Specialist per lavoro e appassionata di cinema, cucina, moda, prodotti di bellezza, nuove tecnologie, viaggi e e-commerce. Ho fondato Soapmotion.com nel 2010 per raccontare le mie passioni e condividere quelle piccole "scoperte" che rendono straordinario il mio quotidiano. Il mio motto? "La vita è una bolla di sapone e io ci pattino sopra".