La Forma dell’Acqua, un Oscar ai sogni senza parole

Guillermo Del Toro ce l’ha fatta. L’autore che dichiarò di avere un feticismo particolare per “insetti, meccanismi ad orologeria, mostri e luoghi oscuri” è arrivato all’Oscar per la Miglior Regia con La Forma dell’Acqua, che si è aggiudicato anche altri tre premi tra cui quello più ambito dell’Academy come Miglior Film che conferma il riconoscimento ricevuto con il Leone d’oro alla 74ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Un titolo onirico che non stupisce visti i precedenti del cineasta, passato dall’orror di stampo messicano con “Cronos” e “La spina del diavolo” al cinema hollywoodiano fumettoso con “Blade II” prima e “Hellboy” dopo senza dimenticare il genere favola dark de “Il Labirinto del Fauno”. Universi popolati da inusuali presenze, quali demoni cornuti e mezzi vampiri, appunto, che tuttavia si rivelano non di rado “brutti fuori e belli dentro”.

Uno sguardo mai scontato, una mano a tratti visivamente eccessiva e provocatoria, ma sempre sensibile e profonda nel tratteggiare i personaggi e la loro interiorità, senza tralasciare spunti di efficace ironia.

La Forma dell’Acqua

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La nuova creatura misteriosa di Guillermo Del Toro in La Forma dell’Acqua è una sorta di dio uomo-anfibio venerato da popoli lontani. Ha lo sguardo e l’animo gentile come Abraham Sapien, l’uomo pesce di Hellboy, ma è più fiero e capace di ferire, ambiguo quasi quanto il Fauno del labirinto. Guarda caso, tutti e tre i personaggi sono stati interpretati dall’attore Doug Jonesun vero trasformista.

Diversamente dai suoi predecessori però, questo personaggio non parla. Così come non parla la protagonista, un’addetta alle pulizie del laboratorio dove viene rinchiusa la creatura. Elisa è muta, vive una vita monotona e coltiva solo due amicizie: quella con la collega logorroica e di carattere Zelda e quella con il vicino di casa e artista Giles. Entrambi lottano, una per i suoi diritti di donna soggiogata dal marito, l’altro per la discriminazione sul lavoro in quanto omosessuale.

E’ la storia di una donna chiusa in sé stessa ma dall’animo forte, che aspetta solo un “diverso” come lei, in grado di guardarla per quello che è realmente, per scatenarsi e progettare una surreale fuga assieme.

Se Il Labirinto del Fauno era romanzo di formazione e sogno di evasione della bambina-principessa dal mondo violento della Spagna franchista, qui vi è il desiderio di varcare i limiti di una realtà ancora una volta crudele ed insensibile, incarnata dall’aguzzino Richard Strickland (un magnifico Michael Shannon), sullo sfondo della lotta USA vs Russia nella corsa allo spazio.

Un film molto delicato e poco oscuro per essere di Del Toro, che si fa riconoscere soprattutto nelle poche scene “fuori dalle righe” sparse per la pellicola (dalla scena d’amore nel bagno allagato alla tragica fine del gatto, alle dita estirpate in salotto di Strickland): leggeri accenti verso il grottesco, a volte quasi horror, a volte comici.

La Forma dell’Acqua è un grande film, tecnicamente parlando, con ambizioni filosofiche e spunti di riflessione importanti (dal tema uomo-natura a quello della diversità sessuale, di genere, di razza ecc), sicuramente da vedere, anche se a qualcuno forse risulterà melenso e poco emozionante. Si tratta infatti di un esercizio estetico teso a bloccare l’immagine come un quadro dipinto da Giles e forse un po’ troppo innamorato di sé stesso. Un altro quadro nella cineteca di creature magiche e sognanti di Guillermo Del Toro.

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Matteo Sola

Matteo Sola

Mi piace il cinema, la musica rock, la pallavolo e tutto ciò che è fuori dal coro, per questo ho studiato criminologia e ho scelto di occuparmi della cosa più stramba nelle aziende, la formazione. Attualmente mi destreggio tra digitale nel lavoro e film-concerti appena posso nel tempo libero (quale?). Obiettivo: trovare una fonte di ispirazione al giorno.